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Mamma, morte e memoria

Mamma, morte e memoria

Mamma, morte e memoria
Madonna con bambino

Mamma, morte e memoria, un articolo di Carl William Brown che analizza il valore della memoria, della madre e della letteratura con riferimento a Marcel Proust, con varie citazioni sull’argomento.

Le tre grandi divinità madri dei popoli orientali sembra fossero generatrici e annientatrici insieme; dee della vita e della fecondità nello stesso tempo che dee della morte.
Sigmund Freud

I momenti di felicità… Ne abbiamo avuto l’esperienza, ma ci è sfuggito il significato, come diceva Eliot. O per meglio dire, non ce ne siamo resi conto, così la vita è passata e alla fine non mi è rimasto che il dolore per la perdita della persona più cara, mia mamma.
Carl William Brown

Immagina pure che ti siano destinati nella vita molti giorni terribili; il più terribile di tutti sarà il giorno in cui perderai tua madre.
Edmondo De Amicis

Dopo la fine del tempo, madre, ci ritroveremo nella realtà che non esiste, nel mondo che non c’è; saremo felici, sereni, in pace, e finalmente potremo godere di ciò che non siamo.
Carl William Brown

Si dice che il lutto, con il suo lavoro graduale, cancelli lentamente il dolore; non potevo, non posso crederci; perché per me il tempo elimina l’emozione della perdita (non piango), tutto qui. Per il resto tutto è rimasto immobile. Perché ciò che ho perso non è una Figura (la Madre), ma un essere; e non un essere, ma una qualità (un’anima): non l’indispensabile, ma l’insostituibile.
Roland Barthes

Mia amata mamma, adesso sarai per sempre così. Prima di ricordare in un post specifico la figura di mia madre e dedicare alcune pagine di aforismi alla “mamma” in generale, o narrare le sue vicende sanitarie nel testo Ars Longa Vita Brevis, in occasione dell’evento doloroso e tragico che mi ha colpito in questi giorni, ovvero la sua dipartita, voglio rammentare Proust, con alcune sue citazioni e una sua piccola biografia, perché mi ha sempre impressionato quello che ha scritto a riguardo di questo argomento così emozionante.

Devo inoltre aggiungere che in questo momento così triste, mi ha confortato un po’ sapere che anche per lui, la perdita della madre, era stato un evento assolutamente nefasto per il suo morale, anche se da questa mancanza, nascerà poi il capolavoro della Recherche.

La mamma dunque, come musa ineguagliabile, che anche nel mio caso, negli anni della mia seconda e terza infanzia, mi ha infuso l’amore per la letteratura e per la scrittura, aiutandomi sempre a comporre quelli che una volta, alle elementari, chiamavano i pensierini.

Questa breve premessa per sottolineare l’importanza della letteratura e della memoria delle persone scomparse che vivranno sempre nella nostra mente per il resto dei nostri giorni.

Mamma di Carl William Brown
Mamma di Carl William Brown

Tale nutrimento dei giardini della nostra memoria, verrà stimolato anche dalla lettura appunto di vicende simili raccontate dai personaggi creati dai vari scrittori, e ci farà rivivere tanti momenti del passato, enfatizzando sia gli aspetti più piacevoli, sia purtroppo quelli più problematici, portandoci sempre una grande malinconia e magari molti sensi di colpa. E’ un processo di rielaborazione della perdita che non avrà fine se non con la nostra morte, e in questo la letteratura ci potrà aiutare un poco.

La figura della madre con bambino, che riguarda ogni persona del mondo, e ci rievoca la sublime immagine della madonna della religione cristiana, è qualcosa di unico e grandioso, da non dimenticare mai. Ci riporta alla nostra infanzia, alle nostre origini e in lei ci identifichiamo, vediamo noi stessi e la nostra mamma.

Poi si cresce e poiché la vita è dolore, come diceva sempre anche il Buddha, la figura del Cristo sulla croce ci rievoca le innumerovoli sofferenze che il genere umano ha dovuto affrontare, e al tempo stesso ci consoliamo rivedendo i vari periodi della nostra vita, ora ci sembrano tutti spensierati e bellissimi, anche se all’epoca potevano essere caratterizzati da litigi, aspre discussioni e grandi arrabbiature.

Come ci ricorda pure il Leopardi, la felicità infatti non è mai presente, o è passata o forse sarà futura, e da questo concetto l’arte, la letteratura, la poesia, il cinema e la fotografia traggono proprio la loro essenza rievocativa che riesce appunto a stimolare le nostre emozioni, a mitigare e confortare le nostre sofferenze, a farci meditare dando così un senso, seppur flebile, alle nostre vite.

In tutto ciò la religione cattolica contribuisce a rendere la grande importanza che merita alla figura della madre, mentre nella religione islamica, la figura della Madonna non è presente come nel cristianesimo. La religione islamica è strettamente monoteista e non ammette la venerazione di figure divine o semi-divine come Maria, madre di Gesù. Nell’Islam, uno dei principi fondamentali è la fede in un solo Dio, Allah, che non ha partner, figli o consorti.

La figura centrale della religione islamica è il Profeta Maometto, considerato l’ultimo profeta inviato da Allah per guidare l’umanità. Maria (in arabo, Maryam) è menzionata nel Corano come la madre di Gesù (conosciuto come Isa in arabo), ma viene descritta principalmente come una donna virtuosa e pia, senza alcun attributo divino.

Per ritornare alla funzione della memoria e della letteratura, certamente non possiamo essere tutti come Proust, la cui opera è ispirata e stimolata dalla propria madre, ma in ogni caso anche tutti noi riviviamo l’esperienza cerebrale del grande scrittore francese, anche se poi non siamo in grado di generare un capolavoro come la Recherche; tuttavia anche le nostre esistenze, se pur non conosciute da un vasto pubblico, hanno certamente un valore etico ed estetico, proprio perché sono l’opera artistica dei nostri genitori, e soprattutto di nostra madre, che ci riapparirà sempre nei nostri ricordi per il resto della nostra vita.

Carl William Brown da piccolo
Carl William Brown da piccolo

In tristitia hilaris, in hilaritate tristis, era il motto di Giordano Bruno ed è anche il mio. Dunque con tanta malinconia e angoscia nel cuore, voglio ricordare mia mamma, mentre mi aiutava a fare i compiti di Italiano quando ero piccolo, mentre mi faceva il bagno, mentre lavava, stirava o preparava da mangiare, quando andava a fare la spesa, quando ritornava dal lavoro e doveva poi fare le faccende di casa, quando andavamo a fare compere durante i saldi, o mentre litigavamo, e infine mentre l’assistevo, durante il periodo della sua malattia mentale, durato ben più di un decennio, quando ormai era anziana, e mi faceva più tenerezza di una bambina.

Last but not least, quando si è giovani non ci si rende conto dell’importanza dei genitori e spesso ci si ritrova in aspro contrasto con loro, quando poi si cresce magari non gli si dedica il tempo e le attenzioni che meritano, alcuni quando poi sono anziani e ammalati magari li scaricano anche in qualche casa di riposo e tutto questo non contribuisce di certo al nutrimento della nostra umanità, la quale si spegne a poco a poco per mancanza di cura ed interesse, ed è proprio contro queste tendenze che si concretizza l’impegno di tanti artisti, poeti, letterati, religiosi, medici e volontari di tanti settori che si prodigano per cercare di non farci dimenticare i grandi valori della nostra esistenza, e tra questi in primis quello di nostra madre.
Carl William Brown

Ora c’è una cosa che posso dirti: godrai di certi piaceri che adesso non potresti nemmeno immaginare. Quando avevi ancora tua madre, pensavi spesso ai giorni in cui non l’avresti più avuta. Ora penserai spesso ai giorni passati.” quando l’hai avuta. Quando ti sarai abituato a questa cosa orribile che saranno per sempre gettati nel passato, allora la sentirai dolcemente rinascere, ritornare per prendere il suo posto, il suo intero posto, accanto a te. Non è ancora possibile. Lasciati inerte, aspetta che la forza incomprensibile… che ti ha spezzato ti ripristini un po’, dico un po’, perché d’ora in poi manterrai sempre qualcosa di rotto in te. Dillo anche questo a te stesso, perché è una sorta di piacere sapere che non amerai mai di meno, che non sarai mai consolato, che ricorderai sempre di più.
Marcel Proust

D’ora in poi voglio immaginarmi la morte come una tenera e affettuosa mamma che con estremo amore, stringendomi sorridente al suo seno per tutta l’eternità, invece di darmi la vita me la toglierà.
Carl William Brown

La vita è un paradosso assurdo. Quando avrei dovuto amare mia madre avevo in testa tutt’altro, quando poi in età avanzata si è ammalata, l’ho assistita con tutto l’affetto, la dedizione e l’amore possibile, ma ormai la sua mente non poteva che rendersene conto in maniera limitata e io per lei forse non ero più nemmeno suo figlio, ma soltanto una figura fraterna della sua infanzia, purtroppo assai sfumata e lontana, anche se comunque benevola e degna della sua riconoscenza. In questi anni il dolore e la sofferenza sono così riusciti a dare un senso alla mia esistenza; ma ora che è scomparsa non mi resta che soffrire con tutta la tristezza e la melanconia che il mio spirito riesce ad elaborare. E in questo frangente purtroppo non riesco inoltre a ricavarne alcun senso, se non che rendermi conto che la vita in fondo non è che una ruota, della tortura però.
Carl William Brown

Gesu’ Cristo, non sembrava nemmeno una persona defunta, e la morte sembrava averle dato persino ancora un po’ di vita, privandola di tutta la sua sofferenza e donandogli al contempo una mistica serenità! Ma il suo dolore non era andato lontano, bastava guardare il mio volto.
Carl William Brown

Marcel Proust
Marcel Proust

Difficile esprimere meglio di Proust il legame che unisce un figlio alla propria mamma.

La mia vita ormai ha perduto il suo unico scopo, la sua sola dolcezza, il suo solo amore, la sua sola consolazione.
Marcel Proust

La mia unica consolazione, quando salivo a coricarmi, era che la mamma sarebbe venuta a darmi un bacio non appena fossi stato a letto. Ma quella buonanotte durava così poco, lei ridiscendeva così presto, che il momento in cui la sentivo salire, e poi quando nel corridoio dalla doppia porta trascorreva il fruscio leggero della sua veste da giardino di mussola azzurra, dalla quale pendevano dei cordoncini di paglia intrecciata, era per me un momento doloroso. Era l’annuncio di quello che sarebbe seguito, quando mi avrebbe lasciato, quando sarebbe ridiscesa. Di modo che quella buonanotte che amavo tanto, giungevo a desiderare che venisse il più tardi possibile, perché si prolungava il tempo di tregua durante il quale la mamma non era ancora venuta.

Talvolta quando, dopo avermi baciato, apriva la porta per uscire, io volevo chiamarla, dirle «dammi un altro bacio», ma sapevo che subito ne sarebbe rimasta infastidita, giacché la concessione che faceva alla mia tristezza e alla mia agitazione salendo ad abbracciarmi, recandomi quel bacio di pace, irritava mio padre, che trovava assurdi quei riti, e lei avrebbe voluto tentare di farmene perdere la necessità, l’abitudine, ben lungi dal lasciarmi prendere quella di chiederle, quando era già sulla soglia dell’uscio, un bacio in più.

Ora, vederla adirata distruggeva tutta la calma che mi aveva recato un istante prima, quando aveva chinato sul mio letto il suo viso amoroso, e me lo aveva teso come un’ostia per una comunione di pace alla quale le mie labbra avrebbero attinto la sua presenza reale e il potere d’addormentarmi. Ma quelle sere in cui la mamma finiva per restare così poco in camera mia, erano ancora dolci a confronto di quelle in cui avevamo gente a cena, e lei, a causa di ciò, non saliva a darmi la buonanotte. La gente si limitava normalmente al signor Swann che, salvo qualche forestiero di passaggio, era quasi la sola persona che venisse da noi a Combray, qualche volta a cena, come avviene tra vicini (più raramente, dopo che aveva fatto quel cattivo matrimonio, in quanto i miei non volevano ricevere sua moglie), altre volte dopo cena, all’improvviso.
Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Volume primo: La strada di Swann, 1913.

Marcel Proust nasce a Parigi nel 1871 da Adrien Proust (1834-1903), medico insigne e futuro professore di Igiene alla Facoltà di Medicina e da Jeanne Weil (1845-1905), discendente di due ricche famiglie di origine ebraica. Sin da piccolo Marcel rivela una salute cagionevole il che spingerà la madre a nutrire nei suoi confronti un atteggiamento affettuosamente protettivo e talora morboso. Nel 1873 gli nasce un fratello, Robert (1873-1935), destinato a seguire la carriera paterna di medico.
Nel 1987 si innamora della principessa Radziwill, ma il suo sentimento non è corrisposto e, tra l’altro, i suoi genitori decidono di allontanarlo dalla fanciulla poiché temono che le forti passioni possano essere dannose per la sua salute. Compie i suoi studi al liceo Condorcet ricevendo alcune menzioni. Nel 1888 prende corpo la sua vocazione letteraria. In quest’anno, tra l’altro, inizia i corsi di filosofia.

Introdotto. fin da giovane, nell’ambiente arisiocatico, in questo periodo Proust inizia a frequentare i salotti, incontra così numerosi artisti, si interessa oltre che alla letteratura, di architettura, di pittura e di scultura e si fa apprezzare come amabilissimo conversatore.

Nel 1889 ottiene il baccalaureato in Lettere e subito si arruola volontario un anno nel 76esimo reggimento di fanteria di stanza ad Orléans, al fine di risparmiarsi i tre anni di leva. Nel 1893 trova lavoro come bibliotecario, cominciando nel frattempo a preparare una seconda Licence in Lettere che otterrà nel 1895. A quest’anno risale, secondo alcuni, la sua prima vera esperienza omosessuale.

Nel 1896 pubblica, con una prefazione di Anatole France, la sua prima opera (Les plaisir et le jours), in cui raccoglie scritti eterogenei e inediti. Ma non incontra molto successo. Nel 1900 inizia a collaborare al noto quotidiano Le Figaro e visita, con la madre, Venezia e Padova. Nel 1902 muore suo padre e nel 1905 gli muore la madre. Proust “cade nella disperazione più profonda della sua esistenza. Tutto gli appare perduto; è roso dai rimorsi di aver contribuito alla morte della madre facendola soffrire con la sua vita non ortodossa, sia per quanto riguarda la sopravvalutazione della propria salute (da tempo si corica all’alba e si alza nel tardo pomeriggio) sia per le sue inclinazioni affettive “particolari”.

La mamma di Marcel Proust
La mamma di Marcel Proust

Scrive a Montesquiou: “La mia vita ormai ha perduto il suo unico scopo, la sua sola dolcezza, il suo solo amore, la sua sola consolazione”. Egli ha 34 anni, ma si può dire che solo adesso, dopo la scomparsa della mamma ha fine la sua infanzia. Debolissimo, straziato dal dolore e dalla malattia, ma non povero, in quanto aveva ereditato un capitale di 42 milioni di franchi francesi, ovvero l’equivalente odierno di 6 milioni e mezzo di Euro, ora aveva un unico desiderio, quello di non mancare ad una promessa fatta a sua madre.

Nel Dicembre del 1905 si ricovera così in una clinica nel tentativo di guarire dai suoi mali: l’asma, l’insonnia e l’esaurimento nervoso. Ma dopo solo sei settimane abbandona la cura e va ad abitare in un appartamento di boulevard Hausmann, appartamento che egli farà successivamente foderare di sughero per isolarlo dai rumori esterni. Ritiratosi sostanzialmente dal mondo e conducendo una vita claustrale, in una solitudine che egli definì da “Arca di Noè”, iniziò a lavorare alla sua imponente opera: Alla ricerca del tempo perduto (un grande ciclo narrativo costituito da sette opere).

La prima di queste (Dalla parte di Swann) Proust l’aveva già terminata nel 1911. Per essa però l’autore non riuscì a trovare un editore che fosse disposto a pubblicarla. E cos’, nel 1913, la fece uscire a sue spese da Colin. I tre volumi successivi (All’ombra delle fanciulle in fiore, I Guermants, Sodoma e Gomorra) furono tutti editi da Gallimard negli anni che vanno dal 1919 al 1922. Tra l’altro, nel 1919, con all’ombra delle fanciulle in fiore ottenne il premio Goncourt. E sulla scia della sua fama letteraria, che si stava consolidando in Francia e all’estero, l’anno successivo gli venne conferita la Legion d’Onore.

Le ultime tre opere del ciclo (e cioè: La prigioniera, Albertine scomparsa, Il tempo ritrovato) vedranno luce postume tra il 1923 e il 1927. Infatti Proust muore nell’ottobre del 1922 mentre stava correggendo manoscritti e dattiloscritti della sua opera, a cui aveva posto fine solo nella primavera di quell’anno.

Il 1905 è stato per Montesquiou e Proust l’anno dei lutti inconsolabili. Nell’arco di pochi mesi entrambi perdono le persone più amate nella loro vita. Rispettivamente, Gabriel Yturri, segretario personale, amico fraterno e amante di Robert, e Jeanne Weil, madre di Marcel. Dall’epistolario si riproducono qui la lettera di Proust che risponde alle condoglianze del conte e la toccante, ispirata poesia che Montesquiou dedica all’amico.

A Robert de Montesquiou, poco dopo il 28 settembre 1905

Caro signore,

Non so come potrò mai ringraziarvi di tante gentilezze. Quando sarò, non dico meno infelice giacché non lo sarò mai, ma meno gravemente malato di adesso, appena potrò parlare e alzarmi, verrò da voi. La vostra pietà verso il mio sconforto è una interpretazione nuova e magnifica del Car la feuille de lys est tournée au-dehors. Ed è in questi momenti che voi siete «più splendido di Salomone in tutta la sua gloria». Giacché «l’ordine della carità è al di sopra di tutti gli altri». La mia vita oramai ha perduto il suo unico scopo, la sua unica dolcezza, il suo unico amore, la sua unica consolazione. Ho perduto colei la cui incessante premura mi portava, in forma di quiete e tenerezza, l’unico miele della mia vita che ancora assaporo a tratti con orrore, in quel silenzio che ella sapeva far regnare così profondamente per tutto il giorno accanto al mio sonno, e che, grazie all’abitudine dei domestici da lei istruiti, sopravvive ancora per inerzia alla sua cessata attività. Sono stato abbeverato da tutti i dolori, l’ho perduta, l’ho vista soffrire, credo che abbia saputo che stava per lasciarmi, senza potermi fare quelle raccomandazioni che per lei, forse, era angosciante tacere; ho la sensazione di essere stato, per via della mia pessima salute, il dispiacere e la preoccupazione della sua vita.

La stessa eccessiva smania di rivederla mi impedisce, quando penso a lei, di percepire quel che accade sotto i miei occhi, salvo da un paio di giorni due immagini particolarmente dolorose della sua malattia. Non riesco più a dormire e se per caso mi assopisco il sonno, più prodigo di dolore della mia coscienza desta, mi opprime con pensieri atroci che, perlomeno, quando sono sveglio la ragione cerca di dosare, e di contrastare quando diventano insopportabili. Una sola cosa mi è stata risparmiata. Il tormento di morire prima di lei e di sentire l’orrore che un tale evento le avrebbe procurato. Ma lasciarmi per l’eternità, sapendomi così incapace di lottare nella vita, dev’essere stato per lei un supplizio davvero grande. Deve aver compreso la saggezza dei genitori che prima di morire uccidono i loro bambini. Come diceva la suora che la curava, per lei avevo sempre quattro anni. Perdonatemi caro signore, Esiodo ha detto che gli infelici son o chiacchieroni e ben disposti a parlare delle loro pene. Ma tra tutti i dolori s’instaura una specie di fraternità. «Così il povero è fratello di Gesù Cristo». Non dimenticherò mai la vostra dolcezza, la vostra bontà, la vostra magnanima pietà. Il vostro profondamente grato, Marcel Proust.

Da Robert de Montesquiou, Les Paroles diaprées: cent dédicaces [Le parole iridescenti: cento dediche]

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