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Borsa, Finanza, Politica e Criminalità

Borsa, Finanza, Politica e Criminalità

Borsa, economia, finanza, politica e criminalità
Borsa, economia, finanza, politica e criminalità

Borsa, finanza, politica e criminalità; il caso Seat pagine gialle, Telecom, Parmalat e chi più ne ha più ne metta.

Forse a scuola non si insegna molto riguardo la gestione del denaro, per questo i cittadini sono così ignoranti in materia di investimenti.
Carl William Brown

Money management is the only strategy to survive in this crazy, stupid and doped financial world market.
Carl William Brown

Per gli amanti del genere. Secondo alcuni Seat è oggi la maggiore azienda internet italiana, bene e sapete quanto vale in borsa una sua azione, 0,0020 Euro, un bel progresso dai 160 Euro degli anni d’oro!
In realtà con il concordato preventivo dell’azienda si archivia un pezzo di storia del costume italiano. Quello degli elenchi telefonici, spolpati fino all’osso da una finanza senza scrupoli e da una politica ottusa e criminale.
Carl William Brown

To learn how to be a good trader you must first learn how to become a real cynic!
Carl William Brown

La politica ha molte responsabilità e demeriti, primo dei quali è l’abdicazione al ruolo di artefice del progresso economico e sociale e di custode delle tradizioni nazionali. E’ il motivo per cui la sinistra sociale in Italia è morta e la destra liberale non è mai nata. In un prossimo articolo sarà dato conto del fallimento dell’una e dell’insuccesso dell’altra. In questo articolo viene, invece, dato conto del collasso istituzionale provocato, in danno dell’ordinamento giuridico e della economia nazionale, dall’ignavia della politica, interdetta – strumentalmente – da forze contrapposte interne ed esterne al sistema.

Il caso emblematico del dissesto di Seat Pagine Gialle, società quotata, sottoposta, in quanto tale, a controlli sociali ed istituzionali, costituisce un esempio eccellente di rinuncia allo svolgimento del ruolo, ma numerosi altri si possono riferire, gravemente lesivi del prestigio delle istituzioni, del risparmio, prezioso bene costituzionale, dell’informazione economica e finanziaria, delle legittime attese di progresso sociale e di costruzione di una società votata al rispetto dell’impegno personale e comunitario.

Il danno miliardario provocato dal dissesto di Seat a carico di 300.000 (dato del Sole 24 Ore) risparmiatori dovrebbe, in teoria, costituire oggetto di primario, urgente, interesse della politica, che nomina le persone delle istituzioni, anche per il bacino elettorale dei risparmiatori traditi, sempre più disillusi dalle disfunzioni delle istituzioni e della giustizia. Incidentalmente, la Consob ha finora mancato anche di pronunciarsi sulla liceità o (ragionevolmente ritenuta) illiceità delle operazioni straordinarie che hanno provocato il collasso della società, il dissesto e il crollo del titolo azionario.
Ugo Scuro

La società che ora capitalizza 17 milioni, era arrivata a valere 25 miliardi e ha fatto ricche famiglie industriali e private equity.
Titolo praticamente azzerato in Borsa, impegni debitori insostenibili nel 2013 e, di fronte, una strada segnata: quella del concordato preventivo. Seat Pagine Gialle getta la spugna. Ma la storia della società, nata a Torino nel 1925 con un capitale da 100mila lire, è esempio paradigmatico dei vizi di uno Stato scialacquatore che sbaglia le sue privatizzazioni e di un’imprenditoria “stracciona” che si muove senza capitali e succhia dalla mammella pubblica tutto quello che può. Persino la Corte dei Conti, pochi giorni fa, ha condannato metodi e numeri delle dismissioni italiane degli anni ’90 e anche il caso Seat è finito nel mirino della magistratura contabile. Il motivo? Generalmente le casse pubbliche ci hanno rimesso, le galline dalle uova d’oro cedute qui e là sono state sbranate fino all’osso e qualche boss re della finanza ha banchettato per anni con gran soddisfazione…

AI PICCOLI AZIONISTI RESTA SOLO LA CLASS ACTION. Da qui alla rovina il passo, dopotutto, sarà breve. Seat viene spolpata con l’uso eccessivo della leva finanziaria. E non è un caso che oggi i piccoli azionisti abbiano incaricato i legali dell’associazione Nuovo Mille di valutare la fattibilità di un’azione collettiva nei confronti della società.

Gli avvocati chiedono alla magistratura di puntare il faro sul buy-out del 2003, mentre ormai Seat ha debiti in scadenza per 200 milioni e solo 100 milioni in cassa.  La gallina non fa più uova d’oro. Anzi, è finita allo spiedo.
Ulisse Spinnato Vega

Nel lontano 2003, un’azione Seat Pagine Gialle valeva ben 160 euro. Ora, nel 2014, vale solo un po’ meno, circa 0,0019 Euro. Ma vediamo un po’ cosa mai è potuto accadere per consentire un’evoluzione così bizzarra, tragica e negativa di questa famosa azienda dal nome giallo e dai conti drammaticamente in rosso.
Carl William Brown

La colpa è innanzitutto della politica, guarda caso come al solito, che nel ’96 considerò la Seat come una valida azienda di Stato da privatizzare all’insegna del motto: “Pochi, maledetti e subito”. Quella filosofia della privatizzazione rapida e indiscriminata era una sorta di “pizzo” che le istituzioni italiane avevano deciso di pagare al sistema internazionale delle grandi banche d’affari angloamericane e delle istituzioni europee per non essere messe ai margini del sistema.

Nel ’93, infatti, la crisi debitoria del gruppo pubblico Efim, coperta dallo Stato, indusse la Commissione, e precisamente il Commissario alla concorremza Karel Van Miert, a incalzare il governo costringendolo a un accordo che venne firmato dall’allora ministro degli Esteri, l’economista Beniamino Amdreatta – leader ideologico di Giovani Bazoli e Romano Prodi: l’Italia poteva “salvare” l’Efim a condizione di equilibrare i debiti di Iri ed Eni, vendendo rapidamente le loro partecipate. In prospettiva, ottemperare al diktat era anche la condizione, per l’Italia, per poter entrare nella fase uno dell’euro.

Ne scaturì la più rapida e massiccia campagna di privatizzazioni mai attuata in Europa. Una campagna che per di più, per l’odio – non ingiustificato – che Prodi nutriva verso la Mediobanca dell’allora ancora potente Enrico Cuccia e che Giovanni Bazoli aveva verso il monopolio finanziario dello stesso istituto – indusse il governo ad affidare in buona parte alle filialucole italiane delle grandi banche d’affari americane: Goldman Sachs, Morgan Stanley. E Lehman Brothers, la stessa destinata a fallire dieci anni più tardi: la stessa che venne scelta come advisor dal Tesoro per la privatizzazione della Seat.

E proprio con la sapiente regia della Lehman, il Tesoro cedette il suo 61% nel 1996 per 1.643 miliardi di lire a una cordata, la Ottobi, nella quale figurano Telecom, Bain capital, Comit, De Agostini, Investitori associati, Bc Partners, Cvc, Abn Amro ventures e Sofipa.

Nacque così Seat Spa, che nel giro di un anno incorporò la stessa Ottobi e divenne Seat Pagine Gialle Spa. E’ qui che iniziò un’epopea davvero degna di “Barbarians at gate”, il libro-denuncia sulla finanza d’assalto degli yuppie di Wall Street, spoliatori di aziende sane per i loro esclusivi interessi. I vari Gordon Gekko di turno indebitano Ottobi per comprare e poi con la fusione spalmano il debito sulla società acquisita: ma l’avvelenamento è ancora leggero, le spalle Seat sono larghissime e 1.643 miliardi di debiti fanno sorridere.

I soci della Ottobi si ripresero il 55% della cifra pagata poco più di un anno prima staccando, a fine marzo ’99, un monte dividendi di 2.038 miliardi, di cui 913 per gli scalatori. La supercedola viene finanziata da un prestito di 2.670 miliardi organizzato da Paribas, e alla fine dell’operazione Seat-Pg si ritrova da una disponibilità di 750 miliardi a debiti per 1.300 miliardi. Azionista di minoranza è sempre Telecom Italia, grande cliente della Seat per gli elenchi telefonici.

Nel marzo 1999, la Webfin (60% Seat-Pg, 40% De Agostini) compra il 66% di Matrix, proprietaria del portale Virgilio, per 16,5 miliardi di lire. E’ la premessa di uno dei più succulenti affari deal storia della finanza italiana. Il 10 febbraio 2000 viene annunciato il progetto di integrazione tra Seat Pg e Tin.it, la divisione Intenet di Telecom Italia. Al termine di tutti i passaggi, il 16 novembre 2000 la composizione del capitale sociale di Seat-Pg è la seguente: 65,09% Telecom Italia (di cui l’1,73% di Tecnost), Huit 12,08%.
Gli azionisti originari di Seat hanno incassato oltre 7,2 miliardi di euro, divdidendi compresi, avendone spesi originariamente 1,6. Anche grazie al fatto che Telecom valuta Matrix-Virgilio 2,4 miliardi di euro. Denaro per di più esentasse, perché nel frattempo il controllo della Seat era stato portato in due scatole vuote domiciliate in Lussemburgo.

Ma non finisce qui. Nel 2003 un’azione Seat vale ben 160 euro e così la spoliazione continua perché proprio in questo periodo Telecom vende nuovamente Seat – cedendola a fondi come Bc Partners e Cvc che avevano già partecipato alla grande abbuffata della privatizzazione: il bisogno di cassa connesso ai debiti che a sua volta Telecom si è ritrovata in pancia a causa dell’Opa di cui è stata bersaglio nel ’99 la costringe a dismettere. (1)

I nuovi acquirenti spendono 3 miliardi e, con la collaudata tecnica dell’ “estrazione di valore”, dopo una doppia incorporazione, prelevano dalla società una maxicedola da 3,6 miliardi (di cui 1,8 di loro pertinenza) che Seat paga contraendo un debito. Altri 800 milioni li ottengono cedendo in Borsa il 12,4 per cento. Ma non riescono a maturare la maxiplusvalenza dei primi scalatori, anche perché nel frattempo la Seat inizia a perdere soldi e a non pagare più dividendi.

Oggi la Borsa valuta l’azienda il 98% meno di cinque anni fa. Contro gli oltre 24 miliardi di fine 2000.
Il tutto, nell’assoluta acquiscenza non solo delle autorità di mercato ma anche dei sindacati dei lavoratori, che non hanno alzato un sopracciglio di fronte alle progressive ristrutturazioni attuate dal management per cavar fuori il sangue da una rapa sempre più spremuta dalla proprietà.

Il round di oggi investe, nel ruolo di “contraenti deboli” i bondholder, che nella ristrutturazione finanziaria in corso vogliono giustamente che a rimetterci di più siano innanzitutto i fondi di private equity azionisti, poi le banche finanziatrici e solo in ultima istanza loro.
Ma comunque vada questo braccio di ferro di contorno, la Seat la sua guerra privata l’ha già persa, nel ’96.

(1) Nel 2003, quando Seat Pg viene ceduta da Telecom Italia a un gruppo di fondi di private equity: Bc Partner (poi uscito dal capitale), Investitori associati, Cvc Partner e Permira. L’acquisto da parte dei fondi viene realizzato con il levereged buyout, un’operazione un po’ sofisticata, che si concretizza nella creazione di una società-veicolo, cioè di una scatola vuota che non ha nessuna attività dentro, ma che serve esclusivamente per assumere il controllo dell’azienda-preda.

Questo veicolo, però, viene subito riempito di debiti, che sono poi utilizzati per finanziare l’acquisizione. Una volta formalizzato il passaggio di proprietà, la nuova controllante viene fusa con la controllata, alla quale porta in dote soltanto una cosa: una montagna di debiti, gli stessi che sono serviti a coprire i costi della scalata. E’ un modo un po’ elegante per comprarsi un’azienda facendole pagare, seppur indirettamente, il prezzo della sua stessa acquisizione. E’ proprio ciò che avvenne nel caso di Seat Pagine Gialle. A distanza di quasi un decennio, però,  l’avvocato Scuro e gli azionisti di minoranza ritengono che i problemi della società siano iniziati proprio a causa di questa operazione, basata su un complesso marchingegno finanziario.

Dopo l’acquisizione, infatti, Seat è arrivata a poco a poco sull’orlo del baratro, schiacciata da un indebitamento che ha toccato la soglia di circa 2,7 miliardi. Nel marzo dello scorso anno, è stata eseguita una ristrutturazione delle passività finanziarie, che ha portato alla trasformazione di un prestito obbligazionario di Seat (il bond Lighthouse 8% in scadenza nel 2014) in azioni della stessa società. Il debito si è così ridotto a 1,3 miliardi ma i soci di di minoranza dell’azienda non ne hanno tratto alcun vantaggio: la conversione dei bond in azioni ha infatti ridotto le loro quote, cioè ha fatto aumentare il numero dei titoli in circolazione, il cui prezzo si è ulteriormente inabissato.

(Fonti: articoli di Sergio Luciano, Andrea Telara)

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