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Poesie famose e suggestive

Poesie famose e suggestive

Poesie famose e suggestive
Poesie famose e suggestive

Poesie famose e suggestive, una raccolta di alcune poesie per meditare sul nostro destino e sul valore etico ed estetico della poesia e della letteratura.


L’UOMO E IL MARE

Sempre il mare, uomo libero, amerai!
perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell’infinito svolgersi dell’onda
l’anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. Godi nel tuffarti
in seno alla tua immagine; l’abbracci
con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
si distrae dal tuo suono al suon di questo
selvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue più intime ricchezze,
tanto gelosi siete d’ogni vostro
segreto. Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, o implacabili fratelli!

CHARLES BAUDELAIRE


I RICORDI

I Ricordi, queste ombre troppo lunghe
del nostro breve corpo,
questo strascico di morte
che noi lasciamo vivendo,
i lugubri e durevoli ricordi,
eccoli già apparire:
melanconici e muti
fantasmi agitati da un vento funebre.
E tu non sei più che un ricordo.
Sei trapassata nella mia memoria.
Ora sì, posso dire
che m’appartieni
e qualche cosa fra di noi è accaduto
irrevocabilmente.
Tutto finì così rapido!
Precipitoso e lieve
il tempo ci raggiunse
di fuggevoli istanti ordì una storia
ben chiusa e triste.
Dovremmo saperlo che l’amore
brucia la vita e fa volare il tempo.

VINCENZO CARDARELLI


IL SOGNO

Sognare il sogno impossibile,
combattere il nemico invincibile,
sopportare il dolore insopportabile,
correre dove l’audace non osa andare.
Correggere l’errore irreparabile,
amare il puro e il casto al di là di tutto,
sforzandosi quando le braccia sono troppo stanche,
di raggiungere la stella irraggiungibile.
Questa è la mia ricerca:
seguire questa stella per quanto senza speranza,
per quanto lontana,
combattere per il giusto senza domande nè soste,
voler avanzare nell’inferno per una causa celeste.
Ed io so che se sarò unicamente fedele
a questa gloriosa ricerca,
il mio cuore giacerà in pace tranquillo.
Quando io sarò seppellito,
il mondo sarà migliore per questo,
perchè un uomo indegno e ferito,
si sforzerà ancora con la sua ultima oncia di coraggio,
per raggiungere la stella irraggiungibile.

JOE DARION

Poesia, natura e bellezza
Poesia, natura e bellezza

TI AUGURO TEMPO

Non ti auguro un dono qualsiasi.
Ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
Ti auguro tempo per divertirti e per ridere.
Ti auguro tempo per il tuo Fare e il tuo Pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo non per affrettarti e correre,
ma tempo per essere contento.
Ti auguro tempo non soltanto per trascorrerlo.
Ti auguro tempo perché te ne resti,
tempo per stupirti e tempo per fidarti
e non soltanto per guardarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle
e tempo per crescere, per maturare.
Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
Non ha più senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni tuo giorno ogni tua ora come un dono.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di avere tempo,
tempo per la vita.

POESIA INDIANA


L’AQUILONE

C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d’antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch’erbose hanno le soglie:

un’aria d’altro luogo e d’altro mese
e d’altra vita: un’aria celestina
che regga molte bianche ali sospese…

sì, gli aquiloni! E’ questa una mattina
che non c’è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d’albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c’era
d’autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s’inalza.

S’inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.

S’inalza; e i piedi trepidi e l’anelo
petto del bimbo e l’avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla
lassù, lassù… Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto… – Chi strilla?

Sono le voci della camerata mia:
le conosco tutte all’improvviso,
una dolce, una acuta, una velata…

A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! E te, sì, che abbandoni
su l’omero il pallor muto del viso.

Sì: dissi sopra te l’orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!

Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore

ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch’io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto…

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co’ bei capelli a onda tua madre…

adagio, per non farti male.

GIOVANNI PASCOLI

Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli

IL TRIONFO DELLA MACCHINA

parlano del trionfo della macchina,
ma la macchina non trionferà mai.

Dalle migliaia e migliaia di secoli dell’uomo
lo srotolarsi delle felci, lambire le lingue bianche dell’acanto
al sole,
per un triste secolo
le macchine hanno trionfato, trascinandoci di qua e di là,
scuotendo il nido dell’allodola finché le uova non si saranno rotte.

Scosse le paludi finché le oche non se ne furono andate
e i cigni selvatici volarono via cantando il nostro canto del cigno.

Duro, duro sulla terra rotolano le macchine,
ma attraverso alcuni cuori non rotoleranno mai.

L’allodola nidifica nel suo cuore
e il cigno bianco nuota nelle paludi dei suoi lombi,
e per le vaste praterie del suo petto pascola un giovane toro
le mucche,
gli agnelli saltellano tra le margherite del suo cervello.

E alla fine
tutte queste creature che non possono morire, respinte
negli angoli più reconditi dell’anima
lancerà il grido selvaggio della disperazione.

L’allodola trillante in una disperata disperazione trillerà giù dal cielo,
il cigno batterà le acque con rabbia, rabbia bianca di cigno infuriato,
anche gli agnelli stenderanno il collo come serpenti,
come serpenti d’odio, contro l’uomo della macchina:
anche il tremante pioppo bianco abbaglierà come schegge di vetro
contro di lui.

E contro questa rivolta interiore delle creature native dell’anima
l’uomo meccanico, seduto in trionfo sul sedile della sua macchina

sarà impotente, perché nessuna macchina può raggiungere le paludi
e le profondità di un uomo.

Così l’uomo meccanico in trionfo seduto sul sedile della sua macchina
impazzirà da se stesso e diventerà cieco in quel giorno
le macchine si gireranno per scontrarsi l’una con l’altra
il traffico si intreccerà in uno scontro prolungato
e le macchine si precipiteranno contro le solide case, edificio della nostra vita
oscillerà sotto lo shock della macchina impazzita, e la casa lo farà
scendere.
Poi, ben oltre la rovina, nei luoghi lontani, ultimi, remoti
il cigno rialzerà la testa appiattita e percossa
e guarda intorno, e alzati, e sulle grandi volte delle sue ali
si muoverà in tondo e in alto per salutare il sole con uno scintillio setoso
di un nuovo giorno
e l’allodola seguirà trillando, di nuovo senza rabbia,
e gli agnelli morderanno le teste delle margherite per la vivacità.
Ma in mezzo alla terra ci sarà la fumosa rovina del ferro
il trionfo della macchina.

DAVID HERBERT LAWRENCE


SOLITUDINE

“Vivo sull’acqua,
solo. Senza moglie né figli.
Ho circumnavigato ogni possibilità
per arrivare a questo:
una piccola casa su acqua grigia,
con le finestre sempre spalancate
al mare stantio. Certe cose non le scegliamo noi,
ma siamo quello che abbiamo fatto.
Soffriamo, gli anni passano, lasciamo
tante cose per via, fuorché il bisogno
di fardelli. L’amore è una pietra
che si posa sul fondo del mare
sotto acqua grigia. Ora, non chiedo nulla
alla poesia, se non vero sentire:
non pietà, non fama, non sollievo. Tacita sposa,
noi possiamo sederci a guardare acqua grigia,
e in una vita che trabocca
di mediocrità e rifiuti
vivere come rocce.
Scorderò di sentire,
scorderò il mio dono. È più grande e duro,
questo, di ciò che là passa per vita.”

DEREK WALCOTT


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ANNIE

Ascolta! E’ una notte di gala
dopo la malinconia degli ultimi anni!
Una folla di angeli alati,
vestiti di veli, piangenti,
siedono nel teatro, per assistere
ad una recita di speranza e di paure
mentre l’orchestra soffia negli ottoni
a tutto fiato la musica delle sfere.

Mimi, nelle vesti del Dio dei cieli,
mormorano, bisbigliano basso,
volando vicino e poi lontano…
Semplici marionette, che vanno e vengono
ad un’asta di grandi oggetti senza forma,
che scivolano sulla scena avanti e indietro,
sventolando le loro ali di Condor,
invisibile sventura!

Questo dramma multiforme! Sta certo,
non lo dimenticherai!
Con i suoi Fantasmi sempre inseguiti,
da una folla che non sa misurarli,
lungo un cerchio che sempre ritorna
all’unico, medesimo punto,
e mossa dalla Follia ma ancor più dal Peccato
e dall’Orrore è l’anima della trama.

Ma guarda, nella folla dei mimi,
s’insinua una forma strisciante,
qualcosa rosso-sangue si contorce
dall’esterno della scena deserta!
Si torce, guizza! Con spasimi di morte
i mimi diventano suo pasto,
e i serafini singhiozzano, per le zanne di bestia
macchiate di sangue umano.

Spente, spente sono le luci, tutte spente!
E sopra ciascuna forma tremante,
la cortina di un funebre drappo,
cala giù con furia di tempesta,
e gli angeli tutti, pallidi e diafani,
sollevandosi gettano i veli, sentenziano
che la rappresentazione è la tragedia «Uomo»
e che il suo eroe è il Verme Trionfante.

EDGAR ALLAN POE


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