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Poesie umoristiche

Poesie umoristiche

Poesie umoristiche
Poesie umoristiche

Poesie umoristiche, divertenti, ironiche, satiriche, provocatorie, talvolta melanconiche, perché l’umorismo è duale e gioca col riso e con il pianto, facce della stessa medaglia, come ben ci ricorda il grande poeta Charles Baudelaire.

Come abbiamo già sostenuto nella sezione poetica di questo sito e come continueremo a sostenere qui e anche nelle grande Daimon Library per noi vale sempre e comunque la dichiarazione di Rimbaud, il quale ripetendo una concezione piuttosto consolidata della poesia affermava: “Il poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi. Tutte le forme d’amore, di sofferenza, di follia; cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per conservarne soltanto la quintessenza. Ineffabile tortura nella quale ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto – e il sommo sapiente! “

Il poeta è pertanto assimilabile al grande sciamano, al supremo interprete dell’universo, tanto che per Matthew Arnold la letteratura e la poesia non sono altro che la vera forma di espressione della religione. Dunque il poeta viene talvolta paragonato al folle, proprio perché il suo modo di esprimersi non viene inteso dalla gente comune e perché d’altro canto in genere non è molto rispettoso nei confronti del potere.

Il poeta trasforma la nostra essenza, i nostri desideri, le nostre ansie, le nostre paure, le nostre rimostranze in un grande sogno onirico, soltanto che nel fare questo egli rimane perfettamente sveglio e desto! Quello che per la gente ordinaria è infatti possibile soltanto durante il sonno, per il poeta è possibile in ogni momento della giornata.

Dunque anche il nonsense ed il caos dell’assurdo talvolta sono celebrati nelle poesie, tanto da risultare dei veri e propri divertimenti linguistici, come ci ricordano per esempio le limericks inglesi di Edward Lear, che offrono di sicuro un serio effetto umoristico.

La poesia del resto anche per Platone non è pratica della ragione, ma è quasi una forma di delirio, di religione, di illusione. Il tardo Platone delle leggi giungerà persino a proporre una serie di norme restrittive e censorie dell’attività dei poeti, applicazioni che non servono ai nostri giorni dove è il mercato a occuparsi di fare in modo che la poesia rimanga ai margini della società.

In effetti la poesia suscita una certa tristezza ed una certa inquietudine che mal si adattano alle moderne e tecnologiche paure di fine millennio. Forse perché come diceva Leopardi la poesia per essere tale deve suscitare qualcosa di lontano, quindi deve essere necessariamente melanconica e nostalgica, proprio perché la felicità è sempre o passata o futura, ma mai presente. Ecco forse perché l’uomo contemporaneo che invece vorrebbe essere felice ora e subito non la gradisce molto.

Certo la poesia a volte diventa triste e scomoda proprio perché non fa altro che rivelarci la tremenda solitudine dell’uomo, e la fugacità di quelle cose che solamente gli possono arrecare un po’ di sollievo in questo difficile cammino che è la vita umana.

La poesia insomma non riesce a scalfire quello che anche per Kant è il male più grande dell’uomo, l’egoismo intrinseco della specie e spesso non fa altro che rivelare a chi la frequenta la terribile solitudine dell’artista, il tragico dolore dell’uomo e le enormi difficoltà di comunicazione tra gli esseri viventi.

E’ in definitiva quasi sempre un disperato tentativo di condivisione che si perde negli sterminati e gelidi silenzi dell’universo, ma, per riprendere e parafrasare ancora Lamb, in ogni caso il suo tentativo è uno di quelli più altamente umani e significativi.

La poesia in ogni caso, come riteneva Coleridge, è del tutto simile alla filosofia e quindi deve anch’essa insegnarci a morire attraverso le grandi invenzioni dell’intelletto e del linguaggio, solo così infatti potremo meglio gustare il fatto di essere ancora vivi, anche se moribondi.

La poesia inoltre essendo in genere una forma di espressione breve se riesce a trattare nel giusto modo certi argomenti si avvicina enormemente allo stile aforistico e sfruttando al meglio tutte le potenzialità retoriche della parola riesce spesso anche a farci divertire. Per questo dunque in questa sezione cercheremo di raccogliere una serie di poesie che per un motivo o per l’altro possano aiutarci ad affrontare la vita in una forma più gioiosa, serena e scanzonata, ma nache più critica!

In pratica, unendo lo spirito di amore e morte presente in tutta la poesia romantica e non solo, alla grande melanconia elegiaca della tradizione classica, mescolando poi il tutto con una sana indignazione satirica e burlesca e ad uno spietato e logico buon senso riuscieremo così ad ottenere delle vere e proprie poesie velate di genialità e di un certo umorismo nero.

Di sicuro il compito non sarà facile, ma ad assisterci avremo un grande spirito dell’oltretomba che ci verrà in soccorso, di tanto in tanto uscirà dalla fatidica grotta degli indovini per confortarci e consigliarci, pertanto è con una grandissima stima e simpatia che non indugiamo oltre ed accogliamo salutando e ringraziando colui che è ben più di un giullare, vale a dire il maestoso erede del becchino, scortato dal suo inevitabile spirito immortale!

Shakespeare ci spiega che il poeta è come l’innamorato, un po’ pazzo, e noi che ci sentiamo un po’ folli, oltre a confortarci con Robert Burton che nella sua The anatomy of melancholy ci rammenta che tutti i poeti sono pazzi, crediamo di poter scorgere nella poesia, che del resto a volte si può benissimo identificare con la prosa, come ci ha insegnato T. Mann, una forma d’arte che si avvicina ai nostri intenti e che comunque rimane un utile e divertente esercizio della parola e dell’intelletto.

Inoltre si spera che, come sostenne in un suo discorso Robert Kennedy, la poesia aiuti l’uomo, quando il potere lo spinge all’arroganza, a ricordarsi dei suoi limiti, e lo aiuti altresì a purificarsi dalle sue malefatte, dai suoi abusi, dalle sue meschinità e ipocrisie. Siamo dunque proprio nell’ambito delle illusioni, ma non è detto.

La poesia, come la letteratura in generale, deve spingere anche all’azione, dev’essere un’opera pragmatica e civile, con intenti che possono senz’altro essere anche politici e sociali. Per questo talvolta la poesia diventa anche umoristica e satirica e aiuta i nostri ideali repressi ad uscire allo scoperto e a gridare parole di protesta, dandoci al tempo stesso il conforto della fantasia, della risata, e del buon umore che cerca di vendicarsi per tutti i torti e le ingiustizie subite. Alla fine sarà poi vera gloria, ai sempre più esigui lettori l’ardua sentenza.

Se poi per esempio alcuni poeti come l’Aretino fanno del sesso un oggetto di riso, secondo la grande tradizione romana e greca, Carl William Brown fa della metafora del “fottetevi, per un mondo migliore” un grido di allarme e di protesta destinato a coinvolgere la stupida autorità dell’umana vanità.

Infine, sempre prendendo spunto dagli scritti poetici dell’Aretino, che talvolta risultano essere anche poco chiari, riusciamo persino a rivalutare il fatto che non dobbiamo mai dimenticarci la lampante evidenza della nostra poco limpida coscienza.


PREGHIERA PER L’UMORISMO

Dàmmi una buona digestione, Signore,
e anche qualcosa da digerire.
Dàmmi la salute del corpo, Signore,
con il buon senso che occorre per conservarla.
Dàmmi un’anima sana, Signore,
che conservi ciò che è buono e puro davanti agli occhi,
così che, vedendo il peccato, non si spaventi,
ma trovi il modo di raddrizzare la situazione.
Donami un’anima che non conosce la noia,
che ignori le mormorazioni, le lamentele ed i sospiri,
e non permettere che io mi dia troppe preoccupazioni
per quella cosa ingombrante che io chiamo “Io”.
Donami il senso dell’umorismo, Signore,
donami la grazia di saper capire una barzelletta,
affinché io tragga qualche gioia dalla vita
e ne faccia partecipi gli altri.

Thomas More


PICCOLA MORTE DAL RIDERE

Va, sfreccia leggero pettinator di comete!
L’erba al vento sarà la tua folta chioma;
dal tuo occhio spalancato scaturiranno
fuochi fatui, prigionieri di sciagurate teste…

I fiori del sepolcro, definiti passioni,
accresceranno l’eco del tuo riso atterrito…
E le miosotidi, quei fiori di segrete…

Non dargli peso: le bare dei poeti
per i becchini non sono che stolti giochi,
custodie di violino suonano vuote melodie…
Ti crederanno morto – idioti borghesi –
Va, sfreccia leggero pettinator di comete!

Tristan Corbière  Les Amours Jaunes


NEBBIA E MISTERI

Scendi fitta, nebbia fedele,
avvolgi i nostri dolori
e nascondi i nostri amori;
posati dolcemente
su campi e città,
inonda le strade e
fa sì che l’uomo
non veda più i suoi simili,
trasforma i desideri
da falsi in sinceri e magari
fa sì che si riempiano
un po’ anche i cimiteri.

L’erede del Becchino


FOTTIAMOCI

Fottiamoci, anima mia, fottiamoci presto,
poiché tutti per fotter nati siamo;
e se tu ‘l caxxo adori, io la potta amo,
e saria ‘l mondo un caxxo senza questo.

E se post mortem fotter fosse onesto,
direi: tanto fottiam, che ci muoiamo;
e di là fotterem Eva e Adamo,
che trovarno il morir sì disonesto.

Veramente egli è ver, che se i furfanti
non mangiavan quel frutto traditore,
io so che si sfoiavano gli amanti.

Ma lasciam’ir le ciancie, e sino al core
ficcami il caxxo, e fà che mi si schianti
l’anima, ch’in sul caxxo hor nasce hor more;

e se possibil fore,
non mi tener della potta anche i coglioni,
d’ogni piacer fortuni testimoni.

Pietro Aretino


S’I’ FOSSE FOCO

S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre,

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

Cecco Angiolieri


LA VIPERA CONVERTITA

Appena che la Vipera s’accorse
d’esse vecchia e sdentata, cambiò vita.
S’era pentita? Forse.
Lo disse ar Pipistrello: – Me ritiro
in un orto de monache qui intorno,
e farò penitenza fino ar giorno
che m’esce fòri l’urtimo sospiro.
Così riparerò, con un bell’atto,
a tanto male inutile ch’ho fatto…
– Capisco: – je rispose er Pipistrello –
la crisi de coscenza è sufficente
per aggiustà li sbaji der cervello:
ma er veleno ch’hai sparso fra la gente,
crisi o nun crisi, resta sempre quello.

Trilussa


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