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Crisi economica in Italia

Crisi economica in Italia

Crisi economica e lavoro in Italia
Crisi economica e lavoro in Italia

Dal  mondo immondo dei ricordi… tanto per non dimenticare, tanto più che oggi ai tempi del Coronavirus, anno della sfiga 2020, le cose non sono di certo migliorate, anzi! Da notare appunto che questi dati si riferiscono al 2014, quando è stato pubblicato il libro da cui sono tratti, tuttavia negli ultimi anni le cose non hanno fatto altro che peggiorare, per cui dovete solo aggiornarli in chiave negativa, ed avrete più o meno la reale situazione attuale.

Italy has the second highest public sector debt in Europe, after Greece. The IMF predict public sector debt of 123.4 % of GDP in 2012 and it is forecast to grow even bigger. Italy’s national debt reaches record 1.812 trillion euros, but the global national wealth is of about 8.6 trillion, equal to four times the national debt. But unfortunately nearly half of all these properties are in a few hands, to be more precise they are in the availability of 10% of the Italian families.
Carl William Brown

Ministeri, enti locali, Inps… La Pubblica Amministrazione è il più grande cliente e il più grande debitore delle imprese italiane, per di più non paga nemmeno i suoi debiti, oltre 3,8 miliardi, scaduti da oltre un anno. E nel frattempo le aziende muoiono. Questo stato risulta perciò più criminale di un’organizzazione mafiosa, e personaggi come i casamonica al confronto dei nostri politici risultano essere dei signori più che rispettabili.
Carl William Brown

Tuttavia, prima di passare all’articolo, voglio solo fare qualche breve considerazione. Per prima cosa bisogna dire che l’origine dei nostri mali è facilmente individuabile, meno semplice è porvi rimedio, e per un motivo molto semplice, chi potrebbe fare qualche cosa di utile non ha potere e non viene minimamente ascoltato, chi invece può fare molto per peggiorare la situazione ha schiere di imbecilli al suo servizio, cittadini compresi, che gli spianano la strada, che ci condurra in fondo al precipizio o se preferite all’inferno. E’ la stupidità  più caotica, nefasta, crudele ed egoista che guida le nostre menti più illuminate, così ci ritroviamo vari personaggi che speculano sulle nostre comuni disgrazie e corrompendo e truffando si arricchiscono sempre più, mentre allo stesso stempo il nostro debito pubblico aumenta vertiginosamente, e la macchina statale non si vergogna minimamente di mandare in rovina schiere di cittadini sempre più schiacciati dall’imbecillità della nostra amministrazione burocratica. Da notare che in questo processo di putrefazione sono rimasti in molti che sostengono i partiti, i sindacati e i burocrati del nostro schifoso paese e con grande senso patriottico sono ancora capaci di andare in piazza il 25 aprile a cantare “Bella Ciao”, convinti più che mai, che ci siano ancora persone nei ruoli chiave della nostra nazione che vogliano e che siano in grado di impedire il nostro più catastrofico fallimento. 

Voglio quindi dedicare a chi non fosse d’accordo con le mie spietate analisi, seppur all’apparenza non troppo approfondite, alcune riflessioni di Giampaolo Pansa, un grande giornalista, storico e scrittore, da poco scomparso, che in suo recente libro del 2017 dal titolo – L’Italia non c’è più – scriveva quanto segue, e da notare che nel frattempo le cose sono ulteriormente e gravemente andate sempre più peggiorando: “Nella mia testa l’Italia è talmente cambiata da essere ormai un paese senza identità, perduto al punto di apparire una tendopoli abitata da esseri umani con ben poco in comune. Perché sostengo che la nostra è una nazione scomparsa? La mia risposta non lascia scampo a dubbi e a incertezze: il nostro è un paese che ha davvero perduto se stesso e che ha imboccato una strada priva di ritorno: quella della decadenza senza rimedio, e chiunque guardandosi attorno può coglierne i segnali.”

Nessuna classe politica per quanto incapace e corrotta avrebbe potuto ridurre così questo paese se non avesse avuto la complicità di milioni di italiani.
Carl William Brown

Questi politici con le loro schiere di burocrati e di consulenti andrebbero eliminati. Troppo parole e pochi fatti da parte loro, che pero’ nel frattempo si arricchiscono, troppe lamentele e pochi fatti da parte dei cittadini, che cosi’ facendo nel frattempo si impoveriscono.
Carl William Brown

Alcuni politici più parlano e più sparano cazzate; l’unico modo per farli rinsavire sarebbe quello di sterminarli; persone dotate di una tale stupidità che al confronto persino i peggiori criminali della storia risultano spesso dei raffinati, onesti e filantropici benefattori dell’umanità.
Carl William Brown

Basta guardare chi ci governa per capire che viviamo proprio in un paese di m……….da.
Carl William Brown

I nuovi dati dell’Istat sull’aumento della disoccupazione (dal 12,6 al 13,2%) smentiscono clamorosamente la propaganda del governo (e dell’informazione subalterna) sul miracolo del Jobs act. Niente lavoro soprattutto per i giovani, un esercito che sale dal 41,2% al 42,6% mentre in Europa la media è del 21,1%.
Ancora in calo gli occupati: dopo la diminuzione di febbraio, a marzo 2015 la flessione è dello 0,3%, con 59 mila unità in meno rispetto a febbraio, tornando sul livello dello scorso aprile. Rispetto a marzo 2014, l’occupazione è in calo dello 0,3% con 70 mila unità in meno. Il tasso di occupazione scende al 55,5 %.
Mentre si accresce il risparmio gestito: l’eccessiva burocratizzazione, l’oppressione fiscale e le difficoltà di accedere al credito, hanno reso non conveniente investire in attività lavorative.

Tratto dall’Italia in breve Ebook di Carl William Brown

Avviene così che mentre in Europa i due terzi dei giovani tra i 18 ed i 29 anni si dichiarano ottimisti verso il futuro, nel nostro paese tale percentuale scende al 47,8%. Gli unici dati positivi arrivano dalle esportazioni, infatti nell’aprile del 2014 le commesse sono cresciute del 3,8% ed hanno segnato un + 6,2% rispetto allo stesso mese del 2013. Allo stesso tempo però arrivano al capolinea o meglio falliscono 1200 aziende al mese, è questo il bilancio dei primi cinque mesi del 2014 che ha visto crescere in Italia le procedure fallimentari del 18,9% rispetto allo stesso periodo del 2013. In questo contesto il nostro apparato burocratico e legislativo rimane sempre più ambiguo, molto spesso incoerente e decisamente bizantino.
C’è quindi molto poco da ridere e da stare allegri. In un anno abbiamo perso 8 punti di felicità e ciò nonostante restiamo uno dei paesi meno tristi, ma è fuori dubbio che il malessere dell’Italia va sempre più aumentando. Da un punto di vista economico arrivare alla fine del mese è sempre più difficile e il 23% delle domande di finanziamento è richiesto proprio per far fronte alle spese di tutti i giorni. Ma c’è di più, quando scompariranno le varie generazioni di pensionati, magari poveri, ma pur sempre con un reddito minimo garantito, l’Italia e i suoi abitanti sprofonderanno in un baratro sempre più angusto e drammatico e lì avremo il risorgere di una vera e propria guerra civile e l’impennarsi della già ben alta criminalità. In Italia infatti, ogni due minuti una casa viene svaligiata, e questo accade molto agevolmente anche perché le forze dell’ordine non riescono a presidiare il territorio e così si moltiplicano furti e rapine di ogni tipo.

La sostenibilità finanziaria, l’adeguatezza dei redditi pensionistici e la lotta contro il rischio di povertà degli anziani dovrebbero rimanere dei temi importanti nell’agenda politica in Italia, altrimenti sul Paese peserà un costo di assistenza per le persone non autosufficienti che ridurrà notevolmente il reddito disponibile dei pensionati futuri, in particolar modo dei lavoratori precari e mal pagati, davanti ai quali si prospetta una vecchiaia in povertà. Il monito giunge dall’Ocse, che in un nuovo rapporto dal titolo “Pensions at a Glance 2013” scandisce difetti e debolezze del sistema pensionistico italiano. “Un’eredità del passato”, che il Belpaese si trascina dietro nonostante i miglioramenti al sistema apportati dalle ultime riforme. Non a caso, nel 2009 l’Italia “aveva il sistema pensionistico più costoso tra i Paesi Ocse”, con “una spesa pubblica per pensioni di vecchiaia e superstiti pari a 15.4% del reddito nazionale, rispetto a una media del 7,8 %”. Oggi, invece, il quadro è lievemente migliorato, anche se i timori verso le future generazioni persistono. A incidere, in particolar modo il sistema contributivo puro introdotto nel 2012.

Nell’anno di grazia del signore 2014 in Italia la disoccupazione è al 12,2% ai massimi dal ’77, con un picco drammatico tra i 15-24enni (40,1%) e chiaramente se non si cambia il sistema questi poveri disgraziati un domani si troveranno senza posto di lavoro e senza nemmeno un misero assegno pensionistico.
La disoccupazione giovanile, nella fascia d’età 15-25, ha superato il 40%. In quell’età i giovani che non lavorano sono, naturalmente, assai di più, ma fra quelli che cercano di farlo più del 40% rimane fuori. A loro, come ai disoccupati di ogni età, dobbiamo dire che: a.) senza ripresa non ci sarà lavoro; b.) con una ripresa dello zero virgola i disoccupati aumenteranno. I giovani che un lavoro lo hanno trovato, intanto, che sia stabile o temporaneo, devono subire una pressione fiscale smodata e una pressione contributiva destinata a pagare il costo di pensioni che loro non avranno mai. Non c’è da stupirsi se non s’affollano al ciglio del bivio, per vedere come va a finire, giacché troppo presi dalla condizione in cui sono finiti.

La crisi economica inoltre peggiora la salute mentale degli italiani, vi sono infatti 2,6 milioni di depressi, mentre per il momento la salute fisica rimane più o meno stabile. Rispetto al 2005 aumentano i tumori maligni (+60%), le malattie alla tiroide, l’Alzheimer e le demenze senili mentre crolla l’omeopatia. Lo afferma l’indagine Istat «Tutela della salute e accesso alle cure» presentata a Roma. «La depressione è il problema mentale più diffuso e riguarda 2,6 milioni (il 4,4% della popolazione) di persone con prevalenze doppie tra le donne in tutte le età. L’indice che definisce la salute mentale, spiega il documento, è sceso di 1,6 punti nel 2013 rispetto al 2005, in particolare per i giovani fino a 34 anni (-2,7 punti), soprattutto maschi, e gli adulti tra 45-54 anni (-2,6). Ancora maggiore il calo per la popolazione straniera, dove arriva tra le donne a 5,4 punti. Per quanto riguarda la salute fisica percepita il dato è sostanzialmente stabile, con il 7,3% delle persone sopra i 14 anni che dichiara di stare male o molto male, in leggero calo rispetto al 7,4% del 2005. «Rimangono invariate – sottolinea il rapporto – le disuguaglianze sociali nella salute, nei comportamenti non salutari, nelle limitazioni all’accesso ai servizi sanitari. Permane lo svantaggio del Mezzogiorno rispetto a tutte. Le dimensioni considerate». Eventi dolorosi, consapevolezza di avere una grave malattia, la difficoltà di gravi problemi economici, la perdita del lavoro sono le cause di depressione più diffuse.

Come dicevamo in Italia il tasso di disoccupazione ha toccato il massimo da 35 anni a questa parte. E persino il tasso di disoccupazione dei laureati che è del 19 per cento è superiore a quello di chi è in possesso soltanto di un diploma (16,3 per cento). Tuttavia superati i 30 anni, il rapporto si capovolge, e la laurea riesce a garantire migliori esiti occupazionali (più 12 per cento) e migliori retribuzioni (più 50 per cento). Tra il 2008 e il 2012 la disoccupazione per i laureati tra i 25 e i 34 anni è aumentata del 46 per cento, mentre nella stessa fascia d’età i disoccupati diplomati sono aumentati dell’85 per cento. In Italia però la percentuale di laureati sul complesso della popolazione è pari al 20,3 per cento, una quota molto distante dagli obiettivi europei fissati per il 2020 al 40 per cento e dalla media Ue che è al 34,6 per cento. Gli studenti universitari sono 1.751.192, con un calo dell’1,7 per cento rispetto all’anno precedente.

Tra i 16 e i 65 anni, secondo un’indagine sulle capacità matematiche e di comprensione dei testi, siamo i più asini d’Europa, lo dice l’indagine Piacc (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) dell’Ocse, l’organizzazione internazionale dei Paesi evoluti. Già Tullio De Mauro, era arrivato da tempo a simili conclusioni, peraltro poco considerate. In pratica nel bel paese della grande cultura e della magnifica arte il 70% degli italiani è sotto il livello 3, ovvero è illetterato e “innumerato” (non sa scrivere e capire testi di una certa articolazione, non sa fare operazioni matematiche anche semplici). La scuola sembra dunque aver fallito e così la spirale perversa continua nella sua malefica opera di rincretinimento generale, infatti proprio perché si è ignoranti, non si avvertono le conseguenze gravissime che l’ignoranza determina e si consente pertanto che la stupidità di massa dia il sostegno all’imbecillità burocratica e legislativa in modo tale da alimentare ulteriormente tutte le politiche che possano favorire un generale e dannoso decadimento sociale ed economico. Come dice il famoso intellettuale Vittorio Sgarbi, in Italia sono pregne d’ignoranza l’imprenditoria, la burocrazia, la stampa, la televisione, e perfino la cultura.

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